giovedì 31 dicembre 2009

Non scriveva per placare, tanto meno per assolvere, bensì per agitare


Aveva il gusto (non l’ostentazione) della cultura e della condizione contadina da cui proveniva, pure egli praticando la modernità e il dinamismo del cittadino e del cosmopolita. Guardava l’Europa e il mondo, ma avendo scelto come prospettiva privilegiata la Sicilia. Il suo era uno sguardo che proprio perché tendeva a proiettare la Sicilia nell’Europa, per ciò stesso si identificava con il punto di vista della Sicilia. Aveva una visione apocalittica e una predilezione per la lotta. Non scriveva per placare, tanto meno per assolvere, bensì per agitare. Il suo modo di scrivere era conseguente al suo essere. Era il suo modo d’essere. La scrittura era perciò imputatoria e blasfema. Nessuna finalità catartica né il giuoco estetico l’animava. Lo scrivere insomma faceva parte del lavoro di Giuseppe Fava, del suo diverso impegno umano e civile. Romanzo, teatro, cronaca o inchiesta giornalistica, non venivano di volta in volta scelti per una preferenza di generi, ma essenzialmente relativamente all’efficacia, e relativamente ai destinatari. Il romanzo, per Fava, non era che cronaca ma per destinatari i quali non erano in grado di avvertire la immediata tragicità che balza alla cronaca.
Sebastiano Addamo, I Siciliani, Gennaio 1984
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