mercoledì 30 dicembre 2009

I Siciliani perché?


“I Siciliani vengono avanti nel grande spazio della informazione e della cultura, nel momento preciso in cui il problema del Meridione è diventato finalmente, anzi storicamente, il problema dell’intera Nazione”. Era il 15 dicembre del 1982. Con questo editoriale il direttore Giuseppe Fava inaugurava la nuova rivista I Siciliani, fondata ed edita tramite la cooperativa Radar, un soggetto creato l’anno prima insieme ai giovani giornalisti che componevano con lui la redazione del giornale.
In queste righe c’è la dichiarazione di intenti del gruppo, il manifesto che li accompagnerà nella loro lunga storia. C’è un problema di tutti: si chiama mafia. In uno “spaventoso lampo di violenza” mafiosa, in meno di due anni, erano stati uccisi rapidamente “uomini al vertice della società”. Dalla fine degli anni Settanta la mafia era uscita allo scoperto, colpendo sempre più in alto, tutti gli uomini che ostacolavano gli affari di Cosa nostra: gli ultimi in ordine di tempo erano stati Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia (ucciso il 6-1-80), Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo (6-8-80), Pio La Torre, segretario del PCI siciliano (30-4-82), e Carlo Alberto dalla Chiesa, generale dei carabinieri, nominato Prefetto di Palermo il giorno dopo l’agguato a La Torre (ucciso in via Carini il 3-9-82).

Inizialmente alla guida del Giornale del Sud, quotidiano catanese nato nel 1980, Fava e i suoi ragazzi non avevano mai smesso di parlare di mafia, di collegare gli omicidi, di delineare la nuova geografia criminale. In una Italia dove nessuno voleva parlare di mafia, c’era anche una Catania dove in quegli anni si diceva ci fosse solo spicciola delinquenza. Non era questa l’idea de I Siciliani; erano sicuri dell’esistenza della mafia e per questo si erano ritagliati uno spazio editoriale nuovo, a proprie spese, una voce libera in un monopolio informativo compatto. Per la redazione del giornale i fatti parlavano chiaramente: Catania stava diventando fondamentale nella nuova geografia mafiosa.

“La mafia è dovunque – continuava Fava nell’editoriale – in tutta la società italiana, a Palermo e Catania, come Milano, Napoli o Roma, annidata in tutte le strutture come un inguaribile cancro, per cui l’ordine di uccidere dalla Chiesa può essere partito da un piccolo bunker mafioso di Catania, o da una delle imperscrutabili stanze politiche della capitale”. Il direttore proseguiva elencando altri problemi immensi, considerati per decenni “tragedie meridionali, cioè, secolari, inamovibili, distaccate dal corpo vivo della Nazione” che invece appartengono a tutti gli italiani, “costretti a sopportarne il danno, spesso il dolore, talvolta la disperazione”. Sono i problemi della Sicilia dell’inizio degli anni Ottanta: Priolo, uno splendido paese siracusano che si affaccia sul mare, di colpo diventato polo industriale e petrolchimico, ora devastato dall’inquinamento; Comiso, paesino del ragusano, scelto come parcheggio di testate atomiche statunitensi pronte ad essere lanciate in qualsiasi momento; poi ancora la camorra, “subalterna e alleata della mafia”, e l’emigrazione meridionale al nord, dapprima “speculazione del grande capitale sulla povertà e ignoranza” e ora nei giorni di recessione trasformata in “piaga sanguinosa che assedia le grandi città settentrionali”. Niente era di interesse regionale, secondo I Siciliani: “Tutto quello che accade a Milano, Roma, Venezia, Torino, nel bene e nel male, appartiene anche ai meridionali, ai siciliani. Quello che accade nel Meridione e in Sicilia, il bene e il male, la paura, il dolore, la povertà, la violenza, la bellezza, la cultura, la speranza, i sogni, appartiene a tutta la nazione”.

Questo fu l’atto di nascita del giornale; una rivista che voleva conoscere e far conoscere i problemi che affliggevano la Nazione, tutta. Per farlo si servì dello strumento più importante del giornalista: l’inchiesta. Fava e i suoi carusi, formati da lui personalmente negli anni precedenti attraverso esperienze in varie testate, erano pronti e iniziavano con quel manifesto una nuova esperienza.

“I Siciliani giornale di inchieste in tutti i campi della società: politica, attualità, sport, spettacolo, costume, arte […]. Un giornale che ogni mese sarà anche un libro da custodire. Libro della storia che noi viviamo. Scritto giorno per giorno”.
Il mensile arrivò in edicola alla vigilia di Natale del 1982, e nel giro di pochi giorni andarono esaurite le tremila copie di quel primo numero. Saranno indispensabili altre due ristampe che porteranno la data di Gennaio 1983, per un totale di diecimila copie vendute per l’esordio. Il successo non fu solo nelle vendite. La Sicilia ebbe finalmente una voce d’informazione in più. Una rivista cartonata di centosessanta pagine, diventate in seguito duecento, che parlavano di mafia, di questione meridionale, di cultura e costume. Una voce corretta, onesta e responsabile, senza padroni né padrini, il cui unico scopo fu quello di essere uno strumento di impegno civile per tutto il Paese, cercando e dicendo la verità.
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